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IL RITORNO DAL LABIRINTO

Il passaggio di Gianluca dal labirinto della droga fino all’immensa spianata della libertà.

SCRITTORE

romanzo Il Ritorno dal Labirinto di Carlo Tedeschi

PREFAZIONE

a cura di Santino Spartà

Carlo Tedeschi ha saputo “zoomare” la problematica della droga, con il suo romanzo Il ritorno dal labirinto, stilisticamente semplice. Non è montato in cattedra. Si è astenuto dal dettare leggi per Gianluca, il “bravo ragazzo”, il quale, probabilmente, si è drogato, per dirla con William S. Burroughs in Guarire se stessi, perché non aveva avuto interessi più forti. Si è guardato bene dal prendere le frusta per colpire irrimediabilmente. È sfuggito anche al pericoloso romanticismo moralistico, infliggere, cioè, ergastoli o allestire roghi per gli spacciatori. L’autore ha dimenticato, per fortuna, di stare dinanzi a questo giovane, come un educatore con il dito minaccioso e con appellativi spregevoli, contrariamente all’atteggiamento di Pirandello in Maschere nude, ma si è rivolto a lui con umana comprensione e vis spirituale. Per inserire di nuovo Gianluca nella nostalgia della vita genuina, ha evitato di affidarlo al sentimentalismo di raccomandazioni generiche. Ha impegnato a fondo la pascaliana “finesse du coeur”. Si è sforzato, come affiora tra le righe del tessuto narrativo, di far capire la inutilità di sostare distesi per terra in preda alla droga, secondo l’ammonimento di Comisso nel romanzo Le mie stagioni e il danno di paradisi artificiali, invocati quale incantevole rifugio dalla vita.

Carlo Tedeschi chiede al giovane con l’umiltà tra le mani e al di fuori di ogni risvolto paternalistico, di ricomporre la sua personalità ridando valore alla esistenza. Con sottile garbo psicologico, consiglia a Gianluca, liberato dalla droga e restituito alla società, di completarsi con la meditazione e di leggere quotidianamente oltre i segni dei tempi. Da questa ubicazione interiore, il salto è facile per aggrapparsi all’eterno. Si avvererà, allora, un gioioso paradosso: sulle sue braccia scompariranno i segni dell’ago.

                                                                                     Santino Spartà

 

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